Editoriale

Ottobre - Dicembre 2024, Anno XVIII, N. 123

Ezio Rotamartir

Eccoci di nuovo dopo un'estate dal caldo torrenziale che tutto avrà favorito tranne che le scampagnate con la borsa piena di corpi macchina e ottiche facendosi venire la voglia di fotografare. Ma forse ormai, pù che una scusa è diventata un'abitudine quella di fotografare (e pensare) superficialmente, per non dire male...

Stripes ©Mario Lisi 2024 per osservatoriodigitale n.o 123

Negli ultimi tampi, per non dire anni, affiora sempre di più la voglia di non fare, di non mettere tutto in borsa e partire per un'escursione fotografica: tanto c'è lo smartphone sempre con noi. È vero ma, tornando a un vecchio discorso che facciamo da anni, non è la stessa cosa. Oggi abbiamo "telefoni" che hanno sensori da 50 o 100 megapixel e forse più ma racchiusi in pochi millimetri quadrati, dove ogni pixel è di grandezza infinitesimale. Nella fotocamera più economica il sensore, male che vada, è un bel CMOS da 24x21 mm con i suoi bei pixeloni grandi, capaci di catturare e interpretare la luce in modo migliore. "Ah ma il mio xxxxxxxx fa delle foto fantastiche senza sbattimenti": vero anche questo ma ci siamo mai chiesti perché?
Tutto è frutto di un insieme di impostazioni e trucchetti software che bilanciano la luce, il contrasto, correggono i colori, applicano filtri in modo automatico e impercettibile per l'utente che si ritrova con degli artefatti digitali nelle proprie immagini senza nemmeno rendersene conto. Agli instagrammer, agli influencer e a chi fa un milione di scatti al giorno perché la sua vita è chiusa dentro al suo smartphone certo, questo, non interessa ma a chi si dichiara fotografo tutto ciò è indice di una sconfitta.
D'accordo, leggere i manuali delle fotocamere è una scocciatura e di seguire dei corsi di fotografia non se ne parla nemmeno: questo è il trend naturale di chi fa fotografia oggi. Perché leggere dei libri al riguardo, perché visitare le mostre di artisti famosi, perché, perché? Tutta una perdita di tempo...
Ok, allora però iniziamo a sperimentare, cominciamo a conoscere a fondo la nostra fotocamera e, come abbiamo già scritto in passato, non c'è bisogno di uscire con tutto il corredo: basta il corpo macchina e una piccola ottica, che so, un 35mm o un 50 mm da tenere fisso per una decina di giorni. E via con gli scatti, provando però a spostare la rotella dei modi da P su A o V, per arrivare a utilizzare il modo M, l'impostazione manuale che permette di controllare tempi e diaframmi separatamente. I risultati potrebbero stupirvi.
Non parliamo poi di cominciare a utilizzare tutti quei tastini con il + e il –, sparsi qua e là sul corpo macchina. A volte fanno miracoli, lo sapete?

Abbiamo tra le mani una Ferrari e la usiamo come se fosse una vecchia Panda degli anni '80. E, ripeto, non stiamo parlando di fotocamere spaziali da oltre 5.000 euro: no, perché tutto ciò lo troviamo anche sulle vecchie buone Canon o Nikon o altro che oggi possiamo trovare usate a pochi euro.
Le fotocamere vanno conosciute e imparate fino a quando ci si sente pronti a scattare in RAW così da poter, in seguito, lavorare sul negativo digitale fino a ottenere la foto che vogliamo, proprio come quella che ci appare nel jpeg del nostro telefonino. La differenza sta nel fatto che la nostra foto sarà gestibile in tutti i modi, stampabile, condivisibile, riutilizzabile in mille modi ma sempre con una qualità decisamente altissima.
Come dite? Volete condividere subito le immagini senza aspettare di elaborare i file raw? Nessun problema perché tra le impostazioni troverete la funzione che, a ogni scatto, la fotocamera registrerà contemporaneamente due file, uno raw e uno compresso jpeg, da condividere subito. Un gioco da ragazzi si diceva un tempo.

Le metafore fotografiche si sprecano e se ne potrebbero elencare a centinaia, da applicare alla vita di tuttii giorni. Quella che più mi attira ultimamente, e che spesso rivolgo ai giovani amici che mi chiedono informazioni su questo e quell'argomento, riguarda proprio l'utilizzo del diaframma.
A me sembra che oggi tutto si svolga in superficie e non si affronti mai un argomento andando in profondità. C'è qualcosa che ci interessa? Bene, al massimo si va su internet e si chiede a Google di parlarcene: in tre quattro righe ecco che sappiamo tutto di quell'argomento, di quel personaggio, di quel fatto storico. La superficie, il primo piano, i fatti o le notizie racchiuse nei titoli. Con i giornali è sempre stato così: quando facevo la prima gavetta da praticante, si arrivava in redazione con un pezzo, lo si sottoponeva al caporedattore che poi lo passava in stampa passando prima dal titolista che, per attrarre l'attenzione del lettore, magari scriveva qualcosa a effetto che, col nostro articolo, c'entrava ben poco ma catturava l'occhio distratto del lettore. Oggi è lo stesso: Camillo Benso chi era? Ah sì uno che era conte di Cavour, un paesino piemontese. Pietro Mennea? Sì uno che correva i 200 metri e veniva dalla Puglia. Neil Armstrong? Ma sì quello che è andato sulla luna tanto tempo fa. Insomma cose del genere, senza mai la voglia di andare più a fondo, di capirne di più. Sempre scatti in primo piano: diaframma apertissimo, sfondo completamente sfuocato,

Quello che consiglio è di provare a chiudere il diaframma, soprattutto della nostra mente, cercando di mettere a fuoco tutta la scena, da quello che ci appare davanti agli occhi fino a ciò che c'è nell'immagine globale ma è in secondo, terzo, trentesimo piano: cerchiamo di capire che cosa ci viene raccontato davvero nelle storie che ci passano davanti agli occhi. E oggi, di storie pazzesche, ne abbiamo moltissime da guardare e analizzare con un po' più di perizia, partendo dalla cronaca quotidiana, sia di casa nostra sia a livello internazionale.
Proviamo a lavorare su questo benedetto diaframma perché ne trarremo solo dei grandissimi benefici.

Godiamoci intanto la foto di apertura, una silhouette di una Porsche fotografata con grande lavoro da Mario Lisi, protagonista dell'intervista dello scorso numero.

Buon lavoro e buon autunno a tutti,

Ezio Rotamartir

 

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