Estate, tempo di viaggi (forse), di vacanze (molto probabilmente), di tempo libero (lo auguro a tutti). Che farne però del tempo libero? Tutto o niente, perché anche il “niente” ha a volte il suo “perché” ben preciso e piacevole. Personalmente nei mesi estivi lavorerò ma prendendomi qualche pausa di “niente” appunto; un “niente” ben riempito, però.
Un po’ ne ho già preso qualche giorno fa, mentre ero a Roma e sono andata a vedere la mostra “Che Guevara fotografo” ospitata al “Museo di Roma” in piazza San Egidio a Trastevere. Confesso: in prima battuta, entrando mi sono detta: “Guevara è stato un medico, un rivoluzionario, un guerrigliero, un sognatore prestato alla politica, insomma tante cose, forse troppe, non so, in ogni caso ora anche fotografo, bah…”, e sono entrata con molte riserve. Sbagliavo, e quando sbaglio e me ne rendo conto lo ammetto sempre.
Al di là dell’interesse storico e documentaristico delle sue foto che attraversano un pezzo di storia (gli anni subito prima e subito dopo la rivoluzione cubana), le immagini che mi sono ritrovata davanti erano, dal punto di vista proprio dello scatto fotografico, di una bellezza che mi ha davvero stupita, piacevolmente, una volta tanto. Bellissime le fotografie in bianco e nero in formato cm5x8: con dimensioni così piccole risulta difficile inquadrare tutto ciò che ci interessa, soprattutto se si tratta di edifici o monumenti, ma lui invece ci riusciva benissimo trasformando il soggetto in una vera e propria icona. Penso ad esempio alla foto “Quadrilatero delle monache visto dal Palazzo del Governatore”, Uxmal, Messico 1955, una delle sue più belle, dal mio punto di vista.
Due sono state le rivelazioni folgoranti: le sue foto a colori e i suoi autoritratti. Le fotografie a colori mostrano soprattutto paesaggi cubani e anche messicani ma sono state conservate male e il tempo le ha deteriorate, cosa questa che normalmente può risultare negativa e spiacevole alla vista; ciò che mi ha sorpresa è che invece in questo caso la patina degli anni ha reso quelle fotografie uniche e davvero molto belle perché il colore sbiadito della pellicola e persino alcune macchie le rendono particolari e ci sembra di trovarci davanti ad una sorta di photoshop ante litteram che crea un effetto veramente poetico.
Gli autoscatti sono magistrali, con inquadrature perfette e in alcune i giochi di luce e ombra sono da professionista vero; inoltre hanno un interesse documentario notevole dal momento che molti ritraggono il Che durante i suoi camuffamenti per sfuggire alle autorità americane mentre girava per il mondo: sfido a riconoscerlo in certe fotografie che usava per il passaporto.
Il resto della mostra è dedicato a Cuba dopo la rivoluzione e fino ai nostri giorni: è francamente la parte meno interessante ma la consiglio ai nostalgici della propaganda comunista anni ’50-’60. Quel che è certo è che questa retrospettiva è un bel modo per riempire i vostri “niente” nel caso vi trovaste a Roma (l’evento durerà fino all’11 di settembre).
Un altro modo per riempire i nostri “niente” - o almeno i miei - è scattare fotografie, magari provando tecniche nuove o, perché no?, apparecchi fotografici non digitali. A cosa mi riferisco? A una vecchia Polaroid (su E-bay se ne trovano ancora) oppure alla Fuji instax 210 (anche in questo caso Internet ci viene in soccorso: la potete trovare su diversi siti che vendono on-line apparecchi fotografici). Personalmente ne ho da poco acquistata una e sto provando diversi modi di effettuare scatti e autoscatti e, nel caso siate appassionati dello scatto irripetibile e dell’emozione del momento “qui ed ora” che solo queste macchine fotografiche possono darvi, vi consiglio di dare uno sguardo al sito Polaroiders, creato apposta per noi nostalgici.
Un “niente” davvero ben riempito potrebbe essere fare un salto ad Arles per il Festival della fotografia che si tiene ogni anno da luglio a settembre. Non vivo molto lontana e ci farò un salto, un giorno per l’altro, perché la “Nuit de l’année” permette di vedere fotografie di vari protagonisti della stampa, di riviste e di agenzie proiettate su schermi giganti: insomma, una vera e propria passeggiata notturna nel cuore di questa bellissima città della Provenza.
Alzi la mano poi chi non ha mai riempito i “niente” estivi con un libro. Ve ne consiglio uno che sto leggendo proprio in questi giorni: “L’infinito istante” di Dyer Geoff, e ve lo propongo prima di tutto perché è ben scritto, scorre molto e quindi va bene per riempire piacevolmente i nostri “niente” e poi, o forse soprattutto, poiché Geoff non è un fotografo ma un vero appassionato (nel senso etimologico del termine) e questo dona alla sua scrittura sulla fotografia una marcia in più che solo la passione, quando è vera, può dare. Last but not least, Geoff mi è simpatico perché non possiede nemmeno una macchina fotografica, lo confessa candidamente lui stesso, e il candore di questi tempi è merce rara.
Buon “niente” a tutti e arrivederci a settembre.