Ci sono ultime sfocate proporzioni negli angoli del cielo. Per trovarle, però, occorre spostare la vista e sincronizzare l’orologio secondo i battiti del cuore. Rapidamente, così, ogni cosa si dissolve in questo nostro sguardo piccolo, furioso di proiezioni spaziali e sconfinati orizzonti. Noi ci consoliamo tendendo la mano all’aria, con quelle dita che provano a spiegarsi la lontananza e fanno cerchi tra gli aeroplani, mentre l’obiettivo punta solo un’impressione. I paesaggi si vestono d’illusione ed escono dalla cornice, le linee si frammentano, il buio si vede. Nel tempo, tutto questo può essere possibile, se si accendono luminosi occhi infiniti. Non ci resta che aspettare, dunque, per capire realmente ciò che possiamo vedere.

M Wesely, il MOMA di New YorkL’erranza internautica di Net(e)scape questo mese ci ha condotti in mezzo a chimere fotografiche, scorci d’invisibile che destano stupore e incontrollabile meraviglia. Il viaggio che consigliamo a tutti i nostri osservatori (digitali e non) riguarda ciò che trovate a questo link. Ebbene, non lasciamoci ingannare dal titolo “The longest photographic exposures in History”, perché ciò che ci ha spinti a raccontare questi scatti non riguarda certamente la banalità del guinness, ma piuttosto l’inedita esperienza estetica di uno sguardo senza scadenza.

L’esperimento tecnico, ma io direi più correttamente poetico, è quello condotto da un fotografo tedesco di nome Michael Wesely, uno scienziato del panta rei ottico, il quale è riuscito a costruire un dispositivo in grado di catturare la luce degli oggetti inquadrati per un periodo superiore ai tre anni. Ebbene, eccoci arrivati al dunque. Cosa succede alle nostre immagini? Invecchiano come noi? Hanno anch’esse delle rughe da sfoggiare oppure è tutta una finta trasformazione che ci vede reagire come l’ebete pubblico degli spettacoli di magia, a cui sfugge il criterio dell’ipnosi? Il discorso è ampio e va affrontato a piccoli passi.

Prima di approfondire le scoperte di Wesely, vorrei però ricordare quel lavoro video-fotografico di un giovane ragazzo americano che, tempo fa, aveva conquistato YouTube e non solo. Si scrisse molto di Noah perché in qualche modo aveva permesso, nel suo arco di fotografie lungo più di un lustro, di mostrare lo sviluppo (quasi) in tempo reale delle nostre immagini speculari, raggranellando l’illusione che tutto sia in qualche modo filmabile (e “arrestabile”).

Wesely, però, non parla di noi (probabilmente comprende che ci sono cose molto più interessanti da mostrare) e si preoccupa piuttosto di raccogliere i resti degli oggetti circostanti, raccontandoci le infinite possibilità cinetiche che la limitata geografia delle nostre pupille non riesce ad afferrare. Basta guardare le sue foto per capire che ogni immagine è un abisso che attende solo di essere guardato. La prospettiva di un normale museo diventa temporalmente crogiuolo di riflessi e scintille pulviscolari mentre finestre di palazzi distanti iniziano a fare placidamente l’amore e di un cielo non si salvano che piccoli rettangoli spostati sulla strada nuvolosa.

J Quinnell, il ponte di BristolEppure Wesely non era stato l’unico a immaginare l’esistenza di una poetica della durata nella finzione inanimata degli oggetti: si guardi la prima fotografia di Justin Quinnell che ritrae il ponte di Bristol. A qualcuno potrebbe ricordare le perversioni sublimi del Turner, scambiandola per gesto pittorico, invece quella scena è il movimento reale, ma apparente, della vita. È affascinante come da una lunga occhiata possa emergere una così vertiginosa fantasia: sopra il ponte ormai minuscolo possono nascere grappoli di onde silenziose di luce mentre del fiume, realmente esistente, non si palesa neanche il più piccolo brivido d’acqua.

Queste diapositive sembrano quasi volerci dire che ogni cosa sa essere vita, persino le più elementari e remote incrostazioni del nostro mondo possono parlare la lingua della luce e muoversi, animarsi, respirare. Forse è solo un’ennesima illusione, lo so, eppure Wesely ha descritto visivamente quel forte e dolce alito dell’universo che spandendosi tra le cose, le contamina invisibilmente. A noi non resta che puntare le dita in alto, continuare a cercare dove possibile questo battito nascosto del cosmo e riuscire a trasformare i laghi dei nostri occhi in ambiziosi oceani.


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